un racconto di Marco Montanaro

 

La Confraternita dell’Attesa
di Marco Montanaro

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Io me li ricordo, quei pomeriggi. La tv accesa sul 9. Il 9 era il canale su cui era sintonizzata MTV. Interi pomeriggi passati ad aspettare quel video. Non ha importanza quale: il punto è che c’era un video che volevi vedere a tutti i costi e se volevi vederlo dovevi aspettare tutto il pomeriggio. O anche meno, se era giù in classifica. Quelli più in basso in classifica li davano prima. C’era quel programma coi cinque video più visti, e aspettavi fino all’ultimo, e se il tuo video era scarso, e dopo i primi due ancora non l’avevano mandato, sputavi sangue e capivi: era fuori dalla classifica, dovevi aspettare il giorno dopo.
Insomma, oggi non è certo così. Se vuoi vedere un video, anche qualcosa di fine ‘800, è già in rete. Se vuoi ascoltare l’album del tuo gruppo preferito prima che esca, riuscirai a trovarne una versione coi brani suonati live in anteprima da scaricare. Se vuoi corteggiare una ragazza, lei ti lascia il suo contatto messenger ed è fatta, le vecchie relazioni lunghe sei anni di lettere si consumano in un mese di chiacchiere virtuali.
Ci beviamo ettolitri di informazioni, senza digerirle e nemmeno pisciarle. Perché se le pisciassimo vorrebbe dire che almeno non ci sono piaciute. Diventiamo ogni giorno più intelligenti per sacrificare il cuore. Sì, proprio come in quel monologo di Chaplin sulla tecnica, alla fine de ‘Il Grande Dittatore’, è esattamente la stessa cosa: sempre più intelligenti, sempre più veloci.
Ma questo non è un discorso sulla moralità dei tempi che corrono. Non ho ambizioni da sociologo. È solo che mi manca l’attesa. E l’attesa non è un sentimento nobile, è qualcosa che ha a che fare con l’eccitazione. Non ci eccitiamo più in attesa di qualcosa, ecco tutto. Di quell’eccitazione profondamente intima, segreta e torbida che si ferma più nel profondo del petto che in mezzo ai pantaloni.
Insomma. Fino a un mesetto fa avevo due ragazze, per via di alcuni pensieri sull’inutilità della monogamia che avevo fatto. Stavamo insieme, tutti e tre, e anche bene. Avevamo deciso così. E sentivamo che ci mancava qualcosa, a tutti e tre.
Era proprio l’attesa. Mara ricordava con piacere un video di Bjork in cui tutti cominciavano a ballare per la strada, ricordava i pomeriggi passati ad aspettare che il video venisse trasmesso. Stefania invece riviveva con ardore i mesi passati ad aspettare il disco di Vasco con ‘Rewind’. Poi uscì e non le piacque, è vero, ma quei mesi in cui Vasco ancora non c’era e il suo disco poteva essere qualsiasi cosa, be’, quei mesi furono davvero eccitanti, per lei.
Insomma, con Mara e Stefania decidemmo di mettere su una sorta di società segreta, in cui avremmo venerato l’attesa con un pizzico di sano fondamentalismo tipico di ogni società segreta. Eravamo le persone adatte, perché ci amavamo condividendo la nostalgia per l’attesa allo stesso modo. Ci riunivamo ogni giovedì nella cantina del nonno di Mara, e presto cominciammo a chiamare tutta la storia ‘la Confraternita dell’Attesa’. Andavamo lì e decidevamo per cosa avremmo dovuto attendere, per cosa eccitarci. La prima session di attesa fu sul sesso. Non avremmo fatto sesso per almeno tre settimane. Arrivammo all’ultimo incontro coi sorrisi gonfi di seduzione e gli occhi che minacciavano desiderio e ogni tipo di perversione. Ogni giovedì d’attesa si tramutava in una dolce frustrazione d’amore, ci sfioravamo e bevevamo il vino del nonno di Mara lavorando di fantasia, ognuno col proprio cervello, schiantandoci sul profumo e negli occhi dell’altro. Nient’altro. Il sesso che avemmo l’ultimo giovedì fu una gran cosa, ma non raggiunse l’eccitazione per l’attesa stessa di quel sesso.
La seconda session fu proprio sul vino. Non bevemmo per tre settimane, comportandoci come se il governo avesse ripulito il paese dal vino, e ne parlavamo, lo desideravamo, attendendo il termine della session. Alla quarta settimana, ubriacarsi fu semplice e movimentato come non mai. Ovviamente facemmo anche dell’ottimo sesso. Ma niente di che rispetto all’attesa per il vino.
La terza session fu invece sull’ultimo capitolo de ‘I Pirati dei Caraibi’ in versione dvd. Non facevamo altro che parlarne, ogni giovedì uno di noi tornava con delle notizie apprese solo da giornali o riviste di cinema (su Internet girava troppa roba anti-attesa). A fine novembre finalmente lo noleggiammo, dopo averlo prenotato al primo giovedì d’attesa. Fu una magnifica serata, lo guardammo abbracciati sul divano che avevamo portato nella cantina, e bevemmo e facemmo dell’ottimo sesso subito dopo il film. Non ci piacque tantissimo, meglio gli altri episodi, e ovviamente ancora meglio l’attesa.
La quarta session fu sull’ultimo disco dei Negramaro. Durò più delle altre: prenotammo il disco con due mesi d’anticipo e cominciammo a mettere pure i soldi da parte. La sera che Stefania lo portò, io e Mara avevamo preparato lo stereo, messo le candele attorno al divano e stappato già il vino. Ci stendemmo, abbracciati col cuore pieno di torbida eccitazione ed ebbri di noi stessi, della nostra abnegazione.
Alla terza canzone, Mara, tutta presa, saltellò fuori dal divano e si lasciò scappare una cosa:
– Oh, sentite qua cosa canta adesso…
Io e Stefania la guardammo muti, con sguardo severo.
Mara arrossì. Fermammo la musica e la pressammo per un’oretta, poi confessò. Aveva scaricato il disco da Internet il giorno stesso in cui lo avevamo prenotato. Non era ancora quello col missaggio definitivo, ma più o meno gli assomigliava. Ma scoprii che Mara aveva ben altre confessioni da fare. Puntò il dito verso Stefania.
– Ma allora diglielo, puttanella, che durante le session sul sesso io e te scopavamo ogni giorno!
Stefania cominciò a piangere.
è vero? –, le chiesi. Ammise senza guardarmi, il viso tra le mani.
Misi tutto me stesso in quella sceneggiata cui fui obbligato. Prima inveii contro Stefania, poi mollai un ceffone a Mara e infine mi mostrai amareggiato per quelle rivelazioni, per il loro comportamento. Ma sì, fu una sceneggiata. Non lo ammisi, ma nelle session precedenti avevo guardato il dvd pirata di ‘Pirati dei Caraibi ai confini del mondo’ da un amico e avevo bevuto vino ogni giorno tranne il giovedì per tre settimane.
Insomma. Quella sera rimanemmo in silenzio per un po’, dopodiché fui io a concludere:
– Va bene, è andata così, che possiamo fare? –. Sciogliemmo la Confraternita dell’Attesa e pure la nostra relazione a tre.
Sbuffai, poi uscii e andai a cercarmi una ragazza.