Dave Eggers intervista David Foster Wallace: The Believer/1

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Dave Eggers e Foster Wallace conversano qui sotto di metodi di scrittura e tabagismo. E’ un estratto dell’intervista apparsa sulla prestigiosa rivista mensile di Dave Eggers The Believer. La casa editrice Isbn ha appena pubblicato il primo di tre volumi con il meglio dei testi apparsi sulla rivista eggeriana, scelti da Massimo Coppola.

 

BLVR: Questo potrebbe essere un buon collegamento per passare a parlare del tuo processo di scrittura, del quale sono credo molto curioso. Se vuoi parlare di come e quanto spesso e dove scrivi, sono certo che alla gente interesserà.

DFW: Forse potresti parlare tu per primo dei tuoi processi di lavoro. Perché? (a) Perché alla gente interessano i tuoi almeno quanto i miei. (b) Perché hai sempre un sacco di roba in ballo, sia dal punto di vista della scrittura che da quello dell’amministrazione. (c) Così posso farmi un’idea migliore di cosa intendi per “processi di lavoro”.

BLVR: Al momento la mia postazione di lavoro è una piccola biblioteca fuori San Francisco, al tavolo di consultazione perso fra gli scaffali della narrativa. Cambio le mie abitudini ogni quattro mesi circa, quando il mio bisogno naturale di distrazione prende il sopravvento su qualunque progetto di autodisciplina io stia usando per riuscire a lavorare senza distrarmi. Quest’ultimo posto lo sto usando da una settimana e finora ha funzionato. Dopo aver scritto a casa, in camera di mio fratello, per sei mesi, ora vado in biblioteca. Alla 826 Valencia ho una piccola scrivania, ma lì non riesco a scriverci – è nel centro dell’ufficio, mi serve solo a insegnare, parlare con lo staff e i volontari, incontrare la gente, eccetera. Dato che c’è molto da fare a McSwys/826, diventa difficile – sono sicuro che per chiunque insegna è così – ricavarsi quegli intervalli di tempo ininterrotti di cui si ha bisogno per lavorare come si deve. La scorsa notte ho insegnato ai ragazzi del liceo fino alle 21:30 e avrei dovuto fare lezione ai ragazzi della quinta alle nove e mezza di stamattina; ho dovuto affidare a un altro insegnante la gita d’istruzione di oggi perché stasera insegno di nuovo e stavo scoppiando. Sono una sega, comunque: sono certo che esistono barche di scrittori che insegnano molto più di me. Ma credo di avere bisogno, come molti scrittori, di isolarmi al punto da impedirmi di usare il telefono o l’e-mail o il tagliaerbe o la bici anche se mi servono – ci si deve tenere lontani dalle distrazioni. Insomma, comunque mi ricordo che una volta mi hai risposto al telefono dicendo, invece di “Pronto”, “Distraimi”. Mi ha colpito, perché era il modo migliore di porre la cosa – quando alzi la cornetta stai emergendo dalla buona concentrazione scrittoria. Hai anche detto che lavori su varie cose contemporaneamente. Puoi dirmi come trovi il tempo, se scrivi di notte o di giorno, con un metodo o in modo impulsivo, se lavori su Pc/laptop/Commodore 64, o quanto spesso insegni, eccetera?

DFW: Ancora non sono sicuro di avere niente da dire. So di non lavorare in qualcosa che risponde alla definizione di ufficio, per esempio l’aula che uso a scuola solamente per ricevere gli studenti e accumulare libri che non leggerò molto presto. So di aver lavorato, nel passato, quasi solo nei ristoranti, ma il fatto di masticare tabacco l’ha resa un’opzione impraticabile, come è facile immaginare. In seguito ho lavorato per un certo periodo nelle biblioteche. (Per “lavorare” intendo le prime stesure e le revisioni, che faccio a mano. Ho sempre battuto il testo a casa e non considero battere al computer un vero lavoro.) Comunque: a un certo punto ho cominciato ad avere dei cani. Se vivi da solo e hai dei cani le cose cambiano. So di non essere l’unica persona al mondo a proiettare le proprie nevrosi freudiane sui suoi animali domestici o da compagnia o quant’altro. Ma a me ha preso male; per gli amici è una fonte di divertimento. Come prima cosa ho iniziato a pensare che per i cani era un trauma essere lasciati soli per più di un paio d’ore. Questa cosa, di per sé, non è da psicopatici come sembra: la maggior parte dei cani che mi è capitato di avere hanno avuto infanzie difficili – compreso un ex proprietario che è andato in prigione… Ma non è questa o quella cosa. Il punto è che ormai non li lascio volentieri da soli per molto tempo, e da un po’ di tempo a questa parte ho proprio bisogno di averceli intorno quando scrivo, altrimenti non mi sento a mio agio. Il che ha compromesso seriamente le possibilità di lavorare fuori casa: un cambiamento di abitudini che col senno di poi non è stato troppo un bene per me, visto che (a) tanto le tendenze agorafobiche mi rimangono lo stesso, e (b) casa mia è ovviamente piena di una serie di distrazioni che il box per la consultazione di una biblioteca invece non offre. In breve quindi al momento lavoro per lo più a casa, anche se so che lavorerei meglio, più rapidamente e con maggiore concentrazione se andassi da qualche altra parte. Se il lavoro va di merda, cerco di far sì di ricavare almeno un paio di ore la mattina per quella faccenda di disciplina chiamata Lavoro. Se invece procede bene, continuo a lavorare anche nel pomeriggio, sebbene nel caso in cui vada bene non sembra più lavoro disciplinato o con la L maiuscola visto che è ciò che farei comunque. Ciò che accade di solito è che quando il lavoro va bene la disciplina la frullo dalla finestra semplicemente perché non mi serve, e quando comincia a non andare bene mi affanno per riuscire a ricostruire un metodo su cui basarmi e abitudini a cui aggrapparmi. Che è in parte quello che intendevo quando ti ho detto che il mio modo di procedere può sembrare caotico se confrontato a quello di altre persone che conosco (incluso te, a partire da oggi).

BLVR: Hai dato una spiegazione molto più chiara della mia. Devo aggiungere che per me funziona allo stesso modo: il metodo serve per quando sei meno ispirato, o, nel mio caso, quando sto cercando di completare gli ultimi 7/8 di qualcosa, che è sempre la parte più difficile. Visto che hai parlato di tabacco nella tua risposta, ti faccio un’altra domanda. Quando ti ho incontrato la prima volta a New York circa cinque anni fa, stavi masticando tabacco in un ristorante – avevi una ciotolina sotto il tavolo in cui sputavi a intervalli regolari. Puoi tracciare la storia del tuo rapporto con le varie forme di tabacco?

DFW: Premettiamo però che questa domanda in verità veniva prima della precedente, e che hai inserito apposta questo tuo piccolo intermezzo facendolo sembrare quello che non è. So che ti interessano molto sia il tabacco sia il suicidio graduale dissimulato che è l’uso di tabacco. La mia situazione non è molto diversa da quella di Tom Bissell, che l’anno scorso ha pubblicato su Tumescent Male Monthly o qualcosa del genere un articolo che parla del masticare tabacco; mi ci sono identificato sotto molti aspetti. Ho cominciato a fumare a ventitré anni dopo due anni a perdere tempo con le sigarette ai chiodi di garofano (che nei primi anni ottanta andavano alla grande). Mi piacevano tanto le sigarette, ma non piaceva quanto influivano sui polmoni e sul fiato per quanto riguarda sport, rampe di scale, coiti, eccetera. Dei miei amici delle mie parti mi hanno iniziato al tabacco da masticare come sostituto per le sigarette; avevo credo ventott’anni. Masticare tabacco non fa male ai polmoni (ovviamente), ma è pieno zeppo di nicotina, almeno paragonato alle Marlboro Lights. (Anche questa storia l’ho veramente ridotta all’osso; perdonami la stringatezza). Negli ultimi dieci anni ho provato seriamente almeno dieci volte a smettere di masticare tabacco. Ho resistito sempre meno di un anno. Al di là di tutte le ben documentate conseguenze psichiche, la cosa che mi rende più difficile smettere è che mi fa diventare stupido. Veramente stupido. Tipo che entro in una stanza e mi dimentico cosa ci sono andato a fare, o che mi perdo a metà di una frase o che sento freddo sul mento e scopro che mi sto sbavando addosso. Ho la capacità di attenzione di un poppante. Ridacchio e sbuffo quando non dovrei. E tutto mi pare molto molto lontano. Di fatto è come essere fumati tutto il tempo, solo che non è piacevole… E per quanto ne so non è qualcosa che a un certo punto finisce. Una volta ho smesso per undici mesi e sono stato così tutto il tempo. D’altra parte masticare tabacco ti uccide – o se non altro i denti ti fanno male e diventano di colori spiacevoli e alla fine ti cadono. In più è disgustoso, e stupido, e ti fa disprezzare te stesso. Perciò ho smesso per l’ennesima volta. Al momento sono poco più di tre mesi. In questo momento ho in bocca una gomma, una mentina e tre stuzzicadenti australiani che mi procura un mio amico Wiccan (appartenente alla Wicca, setta religiosa neopagana, ndt). Una delle ragioni per cui io e te stiamo comunicando per iscritto e non a voce è che mi ci sono voluti venti minuti per pensare e premere i tasti da usare per comporre questo paragrafo. Al momento parlare con me sarebbe come visitare un demente in una casa di cura. Non solo mi interrompo a metà delle frasi, ma comincio anche a canticchiare a casaccio e senza rendermene conto. Inoltre, se ti interessa, la mia palpebra sinistra trema senza interruzione dal diciotto agosto. Non è un bello spettacolo. Ma preferirei vivere fino a cinquant’anni. Questa è la mia storia di tabagista.