Stefano Sgambati, Gli eroi imperfetti (minimum fax, 2014)

eroi imperfetti
Un esordio per una voce già matura
di Rossano Astremo

Sospettavo che l’esordio di Stefano Sgambati come romanziere non mi avrebbe deluso. Lo sospettavo perché seguo da tempo il suo lavoro di scrittore e mai aveva deluso le mie aspettative di lettore esigente. Sgambati è stato anche uno degli autori (con un racconto geniale sin dal titolo: Jackson Pollock) dell’antologia Esc, curata dal sottoscritto assieme a Mauro Maraschi, quindi fin da tempi non sospetti avevo apprezzato il suo modo di costruire mondi possibili fatti di parole. Il fatto che il suo esordio sulla lunga distanza avvenga con una casa editrice, minimum fax, che da oltre due lustri, oramai, investe sui nuovi taleti della narrativa italiana, è un altro elemento a garanzia del risultato finale. Gli eroi imperfetti, questo è il titolo del romanzo. Sì, ma chi sono questi eroi imperfetti? : “Gli eroi non si arrampicano sugli alberi nelle foreste amazzoniche, non si fanno sparare in Bolivia, non tendono agguati e non organizzano frange d’opposizione. Gli eroi si siedono a un tavolino da due e trovano qualcosa da dirsi, occhi negli occhi, rimanendo zitti durante la salita in ascensore. Questi sono gli eroi, gli stakanovisti della vita”. I due “eroi”, a cui fa cenno l’autore in questo breve estratto del libro, sono una coppia di quarantenni, un vinaio e sua moglie, la cui vita, scandita fino a poco tempo prima dalla semplice successione di fatti “normali”, viene sconvolta dalla rivelazione di un uomo, Gaspare, fatte durante una cena a casa dei coniugi in questione. Questa rivelazione riguarderà la morte della moglie di Gaspare, il cui cadavere fu trovato nel Tevere quindici anni prima. Questa rivelazione iniziale, non nota al lettore, muterà gli equilibri del vinaio e della consorte. Vivere con quel segreto intrappolato nelle loro teste diverrà giorno dopo giorno intollerabile. A partire da quel momento, Sgambati dilata la scena, facendo entrare nuovi personaggi. Stupenda è la figura di Irene, giovane figlia di Gaspare, sconvolta dall’atroce perdita della madre, avvenuta quando lei era poco più che ragazzina, la quale passa le sue giornate tra lavoro (che odia), alcol (che adora), uomini (che usa) e terapia (che trova inutile). Uno dei tanti uomini che abbocca all’amo della seducente Irene è Matteo, libraio presso una libreria di Ponte Milvio (tutte le azioni narrate si svolgono in zona). Quest’ultimo, quindici anni prima, aveva visto il corpo morto della madre di Irene. Ritiene che ci sia una coincidenza non trascurabile tra quella scena del passato atroce e l’incontro con la ragazza. Irene, invece, considera Matteo uno dei tanti. Dalla voglia di Matteo di comprendere le ragioni della stranezza della ragazza (con particolare riferimento al rapporto “inconseuto” con il padre) si svilupperanno molti rivoli della storia che confluiranno nella scena finale che avrà come protagonista un Tevere in piena. E qui mi fermo, per evitare di spoilerare troppo. Un romanzo, questo di Sgambati, ricco di cambiamenti di voci narranti, la narrazione esterna lascia spazio a sprazzi di pagine raccontate in prima persona da Irene, personaggio femminile sopra le righe, rappresentato magistralmente; lo stile alto, sostenuto, iperletterario di gran parte del testo lascia spazio a incursioni linguistiche “basse” che donano un effetto straniante alla scena in cui sono collocate; la struttura noir della storia (Sì, ma cosa è successo alla moglie di Gaspare? Qual è il segreto che ha rivelato ai coniugi?) diviene accessoria perché quello che al lettore interessa è lo scontrarsi con i mondi interiori che scorrono nelle vene di tutti i protagonisti. Un esordio davvero potente. Nichel, la collana di narrativa italiana di minimum fax, ha pubblicato, negli anni, testi di grande spessore, firmati da autori che ora hanno vasto seguito. Pensate a Valeria Parrella, Paolo Cognetti, Fabio Stassi, Carola Susani, Carlo D’Amicis. Auguro a Sgambati la stessa fortuna. Prosit.

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